Sinossi
Roma è legata ai suoi rituali. L’appartenenza, qui, è una questione più forte che altrove. Essere romanista o laziale significa volgere la propria esistenza quotidiana verso una direzione, anche perché tornare indietro non è possibile. Sì, perché in Italia, e nella sua capitale in modo particolare, tutto è ritrattabile tranne la fede calcistica.
Il documentario su Roma e sulle radio romane vuole raccontare i sentimenti di una città attraverso il filtro delle radio, appunto, che si occupano di calcio; e qui il calcio vuole dire Roma e Lazio. La quotidiana programmazione radiofonica di svariate frequenze offre un palinsesto occupato in gran parte da programmi che parlano di calcio. Questo fenomeno non ha corrispettivi nel resto paese ma verosimilmente non si riscontrano uguali nemmeno volgendo lo sguardo fuori dall’Italia.
Perché a Roma il calcio ha un seguito così straordinario? Perché ogni giorno migliaia di ascoltatori si sintonizzano sulla frequenza preferita per sentire sviscerare ogni dettaglio della propria squadra del cuore?
Con questo documentario proviamo a fare un viaggio ‘antropologico’ all’interno della capitale; a condurci in questo percorso sono le voci più seguite del panorama radiofonico locale (e non solo locale): Gruppo Roma Radio, Radio Manà Manà, Tele Radio Stereo, Radio Radio, Centro Suono Sport, Radio Erre2, Radioies.
Le voci delle radio, le telefonate, le dirette con i radioascoltatori e i conduttori-protagonisti vengono alternate a quelle che sono storie e racconti di alcuni cittadini romani che potremmo definire ‘archetipici’. Le figure in questione, che nel documentario diventano personaggi e si inseriscono in uno schema drammaturgico, sono esempi di una romanità che tutti riconoscono e vedono in qualche misura come riferimento di cultura popolare. Allora seguiremo il taxista, costantemente in ascolto della radio e orgoglioso tifoso che ostenta i simboli della propria squadra; e la barista, il bar come luogo in cui possiamo immaginare l’accompagnamento costante della radio e la possibilità di un continuo scambio con la clientela di ogni estrazione sociale (perché il fenomeno del tifo a Roma unisce trasversalmente dall’operaio al professionista).
L’intento è quello di sentire l’eco di quel sentimento di appartenenza che rende unica la romanità; il calcio come pretesto e come strumento che ci aiuta a raccontare e ad entrare nei meandri socio-antropologici di una cittadinanza e di una città che ci sorprende ogni giorno ma che a suo modo ci rassicura con la sua perpetua e immutabile ritualità.
Note di regia.
Il documentario si propone di avere uno sguardo osservativo sia sulla città che sui personaggi. I luoghi diventano protagonisti sia nel loro valore iconico e descrittivo che su un piano simbolico.
Mentre i personaggi vengono seguiti nella loro quotidianità senza essere ‘messi in scena’, la musica e le immagini allegoriche spostano il racconto su un piano ‘non narrativo’ e quasi surreale.
Il viraggio dei colori, la desaturazione, hanno l’intento di raccontare una città nei suoi aspetti più inconsueti: se infatti vediamo la Roma riconoscibile e affascinante, l’artificio la rende altro; una città filtrata da quella che potrebbe definirsi una caratteristica anomala che la pervade, la costante e quasi paranoica voce del calcio.
Per scelta il calcio non si vede mai, quello che si vede, o si sente, sono le chiacchiere e le atmosfere che lo circondano, le scritte sui muri, le radio, la seriosa attenzione ad un argomento che altrove dovrebbe rappresentare sostanzialmente svago.
Il personaggio del taxista viene ripreso sempre in primo piano durante la guida, come se fossimo con lui, coi suoi pensieri e il suo lavoro. Infatti l’accumulo di girato rende possibile da un lato il comportamento spontaneo dovuto all’abitudine della camera ormai invisibile, da un altro offre la possibilità di avere ampia scelta di materiale su cui impostare una selezione accurate dei momenti più intensi.
La barista, allo stesso modo, è ripresa con una fissità quasi ossessiva, come se la camera fosse l’occhio di un circuito interno che riprende la quotidianità del lavoro e delle relazioni sociali all’interno del bar, una camera che diventa progressivamente parte del luogo e si nasconde.
Caput Mundi è un racconto a mosaico, un racconto che si forma per accumulo dei suoi tasselli e per incastro crea una lunga conversazione tra i protagonisti, siano essi solo voci o persone in carne ed ossa. E il dialogo si instaura con l’altro grande protagonista, la città. Una città che diventa essa stessa personaggio, parte della stessa antropologia che la anima.
Si è scelto volutamente uno stile elegante e claustrofobico, dal chiuso delle radio all’apertura sugli orizzonti della città, con un’alternanza tesa a dare uniformità sia stilistica che tematica.
Crediti
Soggetto e regia: Fabrizio Marini
Montaggio e fotografia: Fabrizio Marini
Musica originale: Luca Giovanardi
Con: Mario Badiali, Anna Rita Iacobini, Mario Corsi